
Alessandra Santin
Una quiete quasi metafisica nelle tele di Simone Bortolotti. L’ordine impeccabile di scorci prospettici stabilisce con l’osservatore un’attesa enigmatica.
Valentina Visconti
“……Immagini lunari e remote di vedute sognate, di colline dolcissime, di algidi deserti, sono tradotti da Simone Bortolotti in una pittura dal risentito cromatismo come pure dalla severità del bianco e nero……”
Giovanna Uzzani
NEI LUOGHI DEL VIAGGIO
Isabella Mura
La possibilità di entrare nell’Universo pittorico di Simone Bortolotti ci arriva come
un dono; un invito ad intraprendere in punta di piedi un percorso con grazia,
rispetto e discrezione così come si conviene nei luoghi in cui si manifesti la
percezione di una dimensione spirituale piuttosto che terrena.
L’immobilità delle atmosfere, la fermezza solida dei volumi, l’assenza della figura
umana nelle opere dell’Artista fiorentino, non frenano il desiderio di accedere ma
anzi, risvegliano forte la necessità di esplorare questi spazi spogliandosi
dell’eccesso e del superfluo.
L’ingresso nel mondo di Simone avviene sicuramente dai Patii, luoghi silenziosi,
calmi, dove la quiete e una luce limpida rendono impossibile qualunque accenno di
dissolvenza di segni o colori. In questi spazi, la presenza di bianche e soleggiate
architetture servono a rassicurarci offrendo un punto di riferimento per
relazionarci con l’ambiente; salde a definire lo spazio circostante , queste piccole
corti forniscono l’orientamento necessario a l’occhio che, veloce, corre al di là
degli spiragli di orizzonte aperti sulle pareti. Si crea in questo modo un’alternanza
di Interno ed Esterno originando un gioco di prospettive che muta con il mutare
della nostra posizione. Si sa, i confini tengono al sicuro ma offrono anche
l’imperdibile occasione per andare oltre. L’opportunità Simone ce la offre
eliminando le bianche costruzioni e facendoci accedere nei suoi Giardini. Qui lo
sguardo arriva lontano; non più i lisci tronchi del pino marittimo solo qua e là
qualche esile palma. Lo stile, definito dalle basse siepi che occupano lo spazio come
solidi geometrici, determina la stessa serena atmosfera della serie precedente ma
qui senza alcun riferimento architettonico-strutturale; ci sono invece i volumi
degli elementi naturalistici a definire precise linee di fuga che vanno a stagliarsi su
un orizzonte cristallino. La mente è libera di vagare. La simmetria delle aiuole
restituite sulla tela come sagome rigogliose e compatte, ispira un senso di
protezione e tranquillità; il percorso risulta sicuro e a tratti vagamente familiare,
tale da poterlo ripercorrere ad occhi chiusi: nel farlo, il verde brillante continua a
vibrare, la luce chiara ci inonda e un’aria fresca e leggera ci inebria. Percepiamo di
essere esattamente dove dovremmo essere: l’Animo sta viaggiando sereno
attraverso la Pittura .
Capita però che questo peregrinare dolce e confortante possa incontrare battute di
arresto. L’esistenza umana può attraversare momenti in cui occorre rallentare,
fermarsi, riflettere; è ciò che abbiamo sperimentato tutti durante il lookdown,
avvenimento che per Bortolotti diventa pretesto e presupposto per una nuova
produzione. È così che non senza sorpresa ci ritroviamo a camminare su un
sontuoso tappeto persiano impreziosito da un ricco e geometrico ricamo.
L’esecuzione artistica per tale fitta decorazione va immaginata come un mantra,
un esercizio spirituale per l’Artista in cui rigore e disciplina servono a concentrarsi
eal contempo ad astrarsi dalla realtà.
Ad una logica rappresentazione bidimensionale che tessuti poggiati a terra gli
suggeriscono, Simone aggiunge un accorgimento, espediente geniale che ne
trasforma aspetto e percezione: l’inserimento di un piccolo oggetto dalla forte
connotazione tridimensionale che ridefinisce l’intera composizione. Per loro stessa
qualità di elementi estranei al contesto e che nulla hanno a che fare con la profonda
spiritualità delle tessiture antiche, queste forme che sembrano letteralmente
fuoriuscire dal dipinto rendono un senso di leggerezza, un momento di spensierata
sospensione dalla gravità del momento sia esso storico o personale. Un dettaglio
“fuori posto”, inaspettato, che come gli immacolati portici della prima serie o le
geometriche siepi dei Giardini, sta a ricordarci le coordinate della nostra presenza.
Perché pur non essendo fisicamente rappresentata la presenza umana c’è, c’è stata
e continuerà ad esserci, noi compresi.
A fine lookdown la vita ricomincia: sui tappeti si può rimanere assorti in una
profonda meditazione o lasciarsi trasportare dal viaggio nei ricordi di un giocattolo
dimenticato a terra; comunque è da qui che si deve ricominciare. Dal momento che
la rinascita riparte sempre da un’azione, Bortolotti modificando il punto di
osservazione delle sue composizioni, dà in questo senso il suo contributo; non più
una visuale verso il basso, ortogonale è rivolta a terra come nei lavori precedenti
ma uno sguardo più alto che sollevandosi raggiungere il primo piano di un divano;
si tratta della sua ultima serie, gli Interni. Sulle pareti delle stanze, grandi finestre
ci offrono una visuale esterna; fuori fanno di nuovo capolino gli azzurri tersi, vivi,
tanto cari all’Artista e inevitabile con essi la volontà di esplorarli.
Gli Interni, al contrario di ciò che la denominazione parrebbe suggerire, sono
composizioni ariose e dai colori lievi nelle quali trovano posto delle sedute vuote;
ciò non lascia spazio a solitudini, affatto, piuttosto una sensazione di sospensione
in un tempo fermo ma carico di nuova speranza. L’assenza parla di imminenza,
qualcosa che a breve potrebbe accadere: è il futuro.
Adesso adagiati su soffici cuscini di un interno accogliente, siamo naturalmente
proiettati verso l’esterno, curiosi di scoprire cosa ancora c’è da fare.
L’immaginazione da questa postazione privilegiata viaggia e va a tutto ciò che una
mente riesce a sognare e da cui, a separarci c’è solo un vetro.
Dai Patii assorti ai Giardini incantati, dagli ipnotici tappeti agli Interni tranquilli…
il Viaggio attraverso i luoghi di Simone Bortolotti sono varchi di accesso per una
dimensione altra. A ciascuno il proprio itinerario ma unanime è il pensiero di
gratitudine verso l’Artista che condividendo il proprio personale percorso, lo ha
reso un’incredibile esperienza accessibile a tutti.
Isabella Mura , Storica dell’Arte
NEL QUADRATO
Giovanna Uzzani
Ogni mostra comporta per l’artista un esercizio impegnativo di
ricapitolazione della propria ricerca, e in fin dei conti della propria vita. Comporta
esporre a nudo i propri pensieri, e riconoscere: “io sono qui, ora, e sono tutto
questo”. La cura con cui Simone Bortolotti ha concepito questa, come ogni altra
sua mostra precedente, presuppone appunto tale stato d’animo. Come di consueto
l’esposizione si è generata attraverso un impegno straordinariamente tenace di
progettazione e compimento, non distante da quello profuso per la realizzazione di
ciascuno dei dipinti esposti. Così ricordo avvenne nei lavori che consentirono, nel
settembre del 2021, la mostra nello spazio espositivo di C2 Contemporanea, a
Firenze, e l’uscita del libriccino intitolato “Il giardino segreto” che accompagnava sì
la mostra, ma nello stesso tempo da quella si sganciava, alla stregua di una
autonoma monografia. Allora erano sulla scena grandi spazi aperti, candide
architetture dai profili elastici, cortili, palme, alti tronchi e chiome ad ombrello,
giardini della memoria, cieli definitivamente azzurri. Ed anche immagini di interni
con una o due poltroncine vuote, affacciate su una veranda squadrata da luci
taglienti, qualche oggetto appoggiato intorno a suggerire un’assenza, in enigmatica
e metafisica suggestione.
Improvvisamente quegli squarci di orizzonte si sono dissolti, per dar luogo ad altri e
diversi spazi – claustrofobici, mi sono apparsi alla prima; oggi li vedo in dialettica se
non in continuità con i precedenti -, organizzati secondo griglie geometriche
serrate, rigidamente bidimensionali nella visione perpendicolare dall’alto. Ecco la
serie dei “tappeti”, che accanto a quelle dei “pavimenti” e delle “facciate” è
protagonista di questa mostra, in dialogo con le opere precedenti.
Il contesto è quello che ci riporta ai giorni del “lockdown”; la scena è lo studio
dell’artista, in piazzale Madonna pellegrina, a Mestre, divenuto in quel tempo
difficile un chiuso recinto, marcato a terra dalle geometrie di un grande tappeto
ottomano. Su facebook Bortolotti annota il 27 novembre del 2020 alle ore 19:39:
“Paesaggio…Tappeto, mandala di quarantena”. Nei giorni e nei mesi che seguono
appaiono altri tappeti, ciascuno messo a fuoco in un ritaglio quadrato, con motivi
geometrici e figure stilizzate sulle quali si appoggia in terza dimensione un piccolo
oggetto del tutto alieno – un palloncino con la sua ombra in trompe l’oeil, una pipa di
sepiolite, un dado, delle biglie, le tessere erette di un improbabile domino, una
trottola di latta colorata -. I titoli marcano in ordinata sequenza cronologica l’uscita
di produzione e l’anno di esecuzione. Il sostantivo ”Paesaggi”, che precede, vale a
intuire il senso dell‘intera filza.
Questo nuovo soggetto, così esplicitamente diverso dai precedenti, ha colto di
sorpresa non pochi di noi. Inediti il tema, il linguaggio, la grammatica compositiva.
Per l’artista, d’un tratto, deve essere apparsa come una via per tentare l’astrazione,
con strumenti pur non distanti dalla figurazione. Inizia a studiare, fotografa i tappeti
di amici e parenti, consulta voracemente nel web e segue le trasmissioni con
vendite all’asta di tappeti provenienti dall’Anatolia, dalla Persia, dall’Armenia, che
vengono introdotti e spiegati, si appassiona al linguaggio simbolico che li ha
generati. Scopre col tempo che ogni tappeto è la rappresentazione di un complesso
giardino archetipo, figurazione astratta dell’universo, ottenuto dall’intrecciarsi dei
filati di ordito, evocanti l’asse del cielo, con i filati di trama, a suggerire l’infinita
varietà dei destini terrestri. Uno spazio magico dunque, cintato dalla sua bordura,
pronta a difendere il centro dove appare l’albero della vita stilizzato, circondato da
forme di uccelli, affrontati o addossati a coppie simmetriche, in un favoloso alfabeto
criptato. La conoscenza alimenta la curiosità dell’artista e lo induce a tentare
soluzioni nuove, nelle quali il piccolo oggetto moderno, dipinto come se dimenticato
casualmente sul tappeto, per un verso sfonda la bidimensionalità dal punto di vista
compositivo, per l’altro suggerisce interpretazioni o invita ad allusioni possibili: il
pavone, gli uccelli, l’albero della vita, le farfalle, i fiori eccoli a dialogare con i
balocchi di un bambino del nostro tempo – l’artista stesso, bambino? -. Bortolotti
ammette che questa è un’interpretazione da lui trovata a posteriori, non tanto
l’ispirazione iniziale, perlomeno consapevolmente: “Ma in effetti c’è”. E poi, quel
rigore diventa un rassicurante esercizio della mente, un modo per sconfiggere i
turbamenti, quasi un “ohm”, utile a perdersi nella ripetizione, attraverso
l’obbedienza fedele alla sequenza.
In qualche foto di studio si vedono le tele 100×100 stese a terra, appena montate
su telaio e preparate con una mano di grigio fumo, in attesa. L’artista cerca intanto
con la macchina fotografica il taglio compositivo migliore, attraverso l’ingrandimento
del tappeto nel quadrato: “Dalla foto trasferisco i contorni su lucido per proiettarlo
poi sulla tela preparata. Riporto il disegno che talvolta modifico in qualche
particolare, col lapis. Col pennarello nero indelebile ripasso i contorni, che creano la
struttura. I piccoli oggetti della memoria vengono disegnati a mano libera, dal vero
o da qualche altra foto. Finalmente dipingo”.
Sarebbero seguite le sperimentazioni dei “pavimenti”, suggerite dal ricordo delle
composizioni a tarsia che apparecchiavano a grisaille o con pietre colorate le
pavimentazioni delle case ottocentesche; ma anche dalle suggestive facciate a
tarsie marmoree di età romanica, fotografate dall’artista alla Badia fiesolana,
davanti al Battistero fiorentino o a San Miniato; e ancora “immagini rubate da
vetrine, negozietti, ingressi, scorci urbani” che divengono sorta di atlante di idee a
cui attingere con libertà.
Nelle “facciate” il pensiero corre invece alle esotiche piastrelle azulejos di tanti
edifici portoghesi, che incorniciano con variopinta bellezza portali, finestre e
modanature delle vie di Lisbona o di Porto. Scenografie, queste ultime, che
prevedono un percorso differente di esecuzione rispetto ai tappeti, ma non distante,
laddove l’artista parte da qualche suo scatto fotografico dal quale trarre il bozzetto,
lo riporta su lucido, per poi proiettarlo sulla tela, ricavandone a lapis i contorni, per
poi finalmente giungere alla pittura.
Queste “facciate”, come già i “tappeti” e i “pavimenti” mostrano in comune il
principio di fedeltà al quadrato, quasi un assioma. La predilezione del formato
quadrato implica non poche difficoltà compositive, è vero, è un formato esigente, e
forse proprio per questo nel tempo è divenuto il formato elettivo dell’artista:
pretende equilibrio compositivo, sfugge alla banalità che narra attraverso la
gerarchia di una dimensione prevalente sull’altra; comunica sensazioni di stabilità,
di ordine, e insieme di aspirazione alla pur impossibile perfezione. In matematica è
un numero intero che può essere espresso come il quadrato di un altro numero
intero; in geometria è un quadrato che può essere diviso in un innumerevoli
quadrati perfetti; insomma è la forma che contiene il senso dell’uno e del
molteplice. Vitruvio vi inscrive la figura umana, Brunelleschi e Alberti lo utilizzano
come modulo per architetture e decorazioni, Mondrian lo predilige, il gioco del
Tangram lo utilizza per suscitare un’inverosimile varietà di forme; fino ai quadrati
suprematisti, optical, hard edge. Bortolotti ne è catturato: i suoi “paesaggi” aspirano
alla purezza del quadrato. Emerge la strenua attrazione del pittore per la bellezza
scandita degli apparati geometrici, delle trame ortogonali, mistilinee, labirintiche, a
scacchiera, degli orditi a regolo, delle prospettive con le loro suggestioni di infinito,
delle composizioni modulari: dispositivi visivi che comportano per un verso la
rassicurazione di ogni organizzazione razionale, per l’altro permettono la crescita
illimitata dell’immaginazione. Insomma, dai tappeti ai pavimenti alle facciate
entrano in gioco nella pittura dell’artista dei veri e propri laboratori di Gestalt,
attraverso sperimentazioni spaziali a cui attingere, non senza i piaceri della
stravaganza concettuale e di qualche eccentrica o ‘capricciosa’ meraviglia.
La continuità con le ricerche precedenti, dei patio aperti sul mare o sulle colline,
ispirati dalla memoria di un tempo mitico, quello dell’infanzia, non ci appare
immediatamente intuibile, se non fosse per quel titolo volutamente enigmatico con
cui Bortolotti ha inteso presentare questa mostra, titolo che ci lascia ancora una
volta galleggiare amabilmente nell’incertezza e nelle delizie dell’immaginazione:
“Paesaggi nel quadrato”.
GIOVANNA UZZANI
Docente di storia dell’arte e studiosa di arte novecentesca ha svolto attività di ricerca e
curatela, pubblicando numerosi saggi sull’arte italiana egi europea per mostre, convegni,
attività editoriali, riviste scientifiche. In indice le collaborazioni e curatele per: Museo Marino
Marini, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti Firenze, Galleria degli Uffizi, Centro per l’Arte
Contemporanea Luigi Pecci Prato, Mart Trento/Rovereto, X Biennale Internazionale Città di
Carrara, Fondazione Centro Studi Ragghianti; Comune di Pistoia-Palazzo Fabroni; Museo
Novecento Firenze.
Spazi d’aria
Sembrano respirare, le opere di Simone Bortolotti.
I suoi spazi aperti, abitati dall’aria e da pochi elementi, non finiscono sulla tela e vanno oltre, là dove la pura visione ottica incontra il limite; dove arriva solo l’immaginazione.
Sebbene vada di moda pensare che sarà il progresso tecnologico a salvarci, Simone Bortolotti è convinto che si possa vivere in un modo diverso, più semplice.
In uno spazio più grande e senza troppi confini, che l’artista ricava puntualmente giocando con i piani prospettici, le ombre e i colori.
Intersecati o collegati fra loro in infinite soluzioni, a volte soltanto allusi, i suoi sono luoghi per lo più disabitati nei quali aria e luce si diffondono leggere, in silenzio; luoghi unici, surreali e possibili allo stesso tempo, nei quali lo spettatore è invitato ad entrare con lo stesso rispetto con cui sono stati costruiti.
Gli spazi dell’ultima produzione, poi, cominciano ad accogliere anche alcune ombre che appartengono a qualcuno che forse li abita, che passa, o che aspetta; ma la figura umana sfugge, non è mai troppo nitida. C’è e non c’è, minima parte di uno scenario più vasto, che la comprende pur potendone fare a meno.
E’ sempre lei, l’aria, la protagonista principale di tutte le opere di Simone Bortolotti: impalpabile e senza forma, eppure così reale da animare tutto il resto.
Giovanna Cardini
Simone Bortolotti
Ogni pittore vede le cose con la propria originalità e creatività, riducendo la realtà esterna alla propria realtà personale, anche quando il riguardo per gli spazi, per i paesaggi sembra più scrupoloso ed accurato.
Simone Bortolotti, non si sottrae a questa logica e, stanziale, nomade o errante che sia, egli riesce a fissare lo spirito ed il sentimento dei luoghi con pungente penetrazione, cogliendone i valori più autentici e significativi.
Nel concerto delle sue ultime composizioni in particolare, i motivi, i temi scelti si fondono durevolmente in sintesi e senso, l’ampiezza architettonica si intreccia al lirismo che la muove, il ritmo, l’intervallo, il metro concorrono in chiari accordi a definire aree spaziali in direzioni lineari, verso momenti di più scoperta felicità. Il principio della volizione creativa è da ricercare nella necessità di liberare le linee di forza, dai modi che la legano agli elementi costitutivi della realtà facendo del mondo che ci circonda, il luogo di una vita fantastica.
Il tutto nasce da un impegno costruttivista, che con forza guida la sua attività, capace di contenere le forme di ispirazione in contorni decisamente definiti e dal modo di porsi dinanzi alla totalità, al macrocosmo, in cui coscienza e volizione si fondono in armonia con spontaneità ed abbandono. Basta soffermarsi sugli alberi, uniche presenze animate dei suoi paesaggi, che sembrano emergere da una commossa visione di un mondo edenico, da echi rilevatori che giungono dalle zone periferiche dello spirito dell’artista, come da una sofferta reminiscenza che è coscienza dei valori percettivi della forma, compresa nella piena esistenza spaziale.
Sostanzialmente si può dire che emerge dal giovane artista Bortolotti, un atteggiamento razionalistico ed un atteggiamento sentimentale, che potrebbe ricondursi alla definizione di classicismo e romanticismo, nel loro senso più puro, come eterne categorie dello spirito e la scelta dell’azzurrità dominante, ci dà la misura di quanto l’autore sia lontano da disinvolte e facili soluzioni, proponendo all’attenzione del fruitore, nuovi modi di pittura tonale, con un senso sottile del colore, dove l’arte non tende alla riproduzione della realtà, ma ad una sottile penetrazione di essa, come salutare stimolo ad un accresciuto sforzo vitale.
Lia Bronzi
Ancient force
By forgetting the passage of time we can improve our understanding of ourselves: it would appear so judging by recent paintings by Simone Bortolotti. The artist seems intent on portraying a world, or at least a ‘vision’ of it, in which events and human action are excluded. There are no people who animate these scenes, there is no passionate sense of the details of our everyday lives. In this intimate world devoid of personal content we are shown the outer-shell, that which only encases us as human beings: houses, a variety of man-made constructions, the architecture of landscape made up of its trees and bushes, all highly stylised almost de-personalised, prompting us to believe that the key to understand ourselves is by recognising the meaning within all that is outside us, through a better understanding of their metaphysical content rather than any information which reality can transmit to us. This sense is reinforced by the artist in his refusal to show us details of human events or narrative. A latent stoicism broods behind these scenes, ready to pounce on the viewer if he or she allows themselves be transported.
I believe, that in an unconscious way Simone Bortolotti is asking us to repudiate the hiccupped, fragmented way in which we lead our everyday lives. Not by demonstrating strong arguments or cogent images which provoke clear lines of thought. But in a kind of passive-attack, relying on exactly the opposite: on our innate ability to recall powerful symbols and our being persuaded by the efficacy of form (geometric and non).
The search for higher knowledge is on. The viewer should harness his perceptive and cognitive abilities to make headway. Viewed in this way Bortolotti’s is an ancient force, harking back to the classical world where universal values were expressed in art in as harmonious a way as possible in order to attempt a satisfactory understanding of our lives. Clearly these paintings are carriers of some very, at times all too discreetly carried messages. Their pervading sense of reflection and introspection, brings a calmness which suggests eternity and promises us a reward: that of being led to some new, very laudable end…
Steven Music
Ein Künstler und die vielen Variationen eines Innenhofs
Bortolotti hat mit traditionellen Stilleben und Landschaften in die er immer mehr architektonische Gebäude einfügte. Diese Architekturen ergreifen Besitz von dem Bildraum, die Natur wird in den Hintergrund verdrängt, so daß in seinen heutigen Bildern Baumkronen hinter architektonischen Elementen nur noch schüchtern hervorschauen oder Baumstämme so stilisiert sind, daß sie selbst zu Architekturen werden.
Auf die Fragen „Warum ist die Natur im Hintergrund?“ und „Warum sind dort keine Menschen zu sehen?“ antwortet der Künstler: „Weil die Architektur stellvertretend für den Menschen ist. Der Mensch greift mit seinen Architekturen in die Natur ein und setzt sich mit ihr in Beziehung.“
Das, was Bortolotti immer wieder darstellt, ist das Patio. In der Maremma, dem Teil der Toskana, der sich zum Meer hin erstreckt, gibt es Villen, die einen nach oben offenen Innenhof haben, eingegrenzt von weißgekalkten Mauern. In dieses Patio werden Schirmpinien gepflanzt, die wie riesige Sonneschirme Schatten spenden. Diese weißen Patio-Mauern sind das sich ständing wiederholende Objeckt, mit dem sich Simone Bortolotti auseinandersetzt. Er Fügt Türen und Fenster ein und projiziert auf sie langgstreckte Schatten. Der Betrachter fragt sich automatisch: „Wohin führen diese Fenster und Türen?“ In ein Dickicht? In einen Wald? Und was sind das für Schatten, die der Künstler auf die weißgekalkten Wände projiziert? Woher kommen sie? Von den Schirmpinien? Von einem Dach?
Die Bilder werfen viele derartige Fragen auf. Aber eigentlich sind die Türen, Fenster, Bäume, Mauern und Schatten für den Künstler nur ein Vorwand, um eine unendliche Formenvielfalt darzustellen: Baumkronen wie Kegel und Kugeln, Fenster wie Würfel, Schatten wie Dreiecke. Parallele Mauern, Zylinder, Rechtecke und unregelmäßige geometrische Formen.
Auch wenn er immer das gleiche Patio malt, bietet es ihm doch einen unerschöpflichen Raum für Formen, zum Teil erfundene, zum Teil wirkliche.
Eine Besonderheit der Bilder Simone Bortolottis sind die starken Kontraste, die eine ganz eigene, stille, südliche Atmosphäre ausstrahlen. Sie wirken auf uns nicht aggressiv und aufwühlend, sondern meditativ. Sie erzeugen einen klaren harmonischen Klang.
Carolin von Heesen