
Simone Bortolotti in mostra – Nel Quadrato Paesaggi
A cura di Giovanna Uzzani
Officine Forte Marghera Venezia
Dal 13 Ottobre al 3 Novembre 2024 / ore 15-19
GIOVANNA UZZANI
Nel quadrato
Ogni mostra comporta per l’artista un esercizio impegnativo di
ricapitolazione della propria ricerca, e in fin dei conti della propria vita. Comporta
esporre a nudo i propri pensieri, e riconoscere: “io sono qui, ora, e sono tutto
questo”. La cura con cui Simone Bortolotti ha concepito questa, come ogni altra
sua mostra precedente, presuppone appunto tale stato d’animo. Come di consueto
l’esposizione si è generata attraverso un impegno straordinariamente tenace di
progettazione e compimento, non distante da quello profuso per la realizzazione di
ciascuno dei dipinti esposti. Così ricordo avvenne nei lavori che consentirono, nel
settembre del 2021, la mostra nello spazio espositivo di C2 Contemporanea, a
Firenze, e l’uscita del libriccino intitolato “Il giardino segreto” che accompagnava sì
la mostra, ma nello stesso tempo da quella si sganciava, alla stregua di una
autonoma monografia. Allora erano sulla scena grandi spazi aperti, candide
architetture dai profili elastici, cortili, palme, alti tronchi e chiome ad ombrello,
giardini della memoria, cieli definitivamente azzurri. Ed anche immagini di interni
con una o due poltroncine vuote, affacciate su una veranda squadrata da luci
taglienti, qualche oggetto appoggiato intorno a suggerire un’assenza, in enigmatica
e metafisica suggestione.
Improvvisamente quegli squarci di orizzonte si sono dissolti, per dar luogo ad altri e
diversi spazi – claustrofobici, mi sono apparsi alla prima; oggi li vedo in dialettica se
non in continuità con i precedenti -, organizzati secondo griglie geometriche
serrate, rigidamente bidimensionali nella visione perpendicolare dall’alto. Ecco la
serie dei “tappeti”, che accanto a quelle dei “pavimenti” e delle “facciate” è
protagonista di questa mostra, in dialogo con le opere precedenti.
Il contesto è quello che ci riporta ai giorni del “lockdown”; la scena è lo studio
dell’artista, in piazzale Madonna pellegrina, a Mestre, divenuto in quel tempo
difficile un chiuso recinto, marcato a terra dalle geometrie di un grande tappeto
ottomano. Su facebook Bortolotti annota il 27 novembre del 2020 alle ore 19:39:
“Paesaggio…Tappeto, mandala di quarantena”. Nei giorni e nei mesi che seguono
appaiono altri tappeti, ciascuno messo a fuoco in un ritaglio quadrato, con motivi
geometrici e figure stilizzate sulle quali si appoggia in terza dimensione un piccolo
oggetto del tutto alieno – un palloncino con la sua ombra in trompe l’oeil, una pipa di
sepiolite, un dado, delle biglie, le tessere erette di un improbabile domino, una
trottola di latta colorata -. I titoli marcano in ordinata sequenza cronologica l’uscita
di produzione e l’anno di esecuzione. Il sostantivo ”Paesaggi”, che precede, vale a
intuire il senso dell‘intera filza.
Questo nuovo soggetto, così esplicitamente diverso dai precedenti, ha colto di
sorpresa non pochi di noi. Inediti il tema, il linguaggio, la grammatica compositiva.
Per l’artista, d’un tratto, deve essere apparsa come una via per tentare l’astrazione,
con strumenti pur non distanti dalla figurazione. Inizia a studiare, fotografa i tappeti
di amici e parenti, consulta voracemente nel web e segue le trasmissioni con
vendite all’asta di tappeti provenienti dall’Anatolia, dalla Persia, dall’Armenia, che
vengono introdotti e spiegati, si appassiona al linguaggio simbolico che li ha
generati. Scopre col tempo che ogni tappeto è la rappresentazione di un complesso
giardino archetipo, figurazione astratta dell’universo, ottenuto dall’intrecciarsi dei
filati di ordito, evocanti l’asse del cielo, con i filati di trama, a suggerire l’infinita
varietà dei destini terrestri. Uno spazio magico dunque, cintato dalla sua bordura,
pronta a difendere il centro dove appare l’albero della vita stilizzato, circondato da
forme di uccelli, affrontati o addossati a coppie simmetriche, in un favoloso alfabeto
criptato. La conoscenza alimenta la curiosità dell’artista e lo induce a tentare
soluzioni nuove, nelle quali il piccolo oggetto moderno, dipinto come se dimenticato
casualmente sul tappeto, per un verso sfonda la bidimensionalità dal punto di vista
compositivo, per l’altro suggerisce interpretazioni o invita ad allusioni possibili: il
pavone, gli uccelli, l’albero della vita, le farfalle, i fiori eccoli a dialogare con i
balocchi di un bambino del nostro tempo – l’artista stesso, bambino? -. Bortolotti
ammette che questa è un’interpretazione da lui trovata a posteriori, non tanto
l’ispirazione iniziale, perlomeno consapevolmente: “Ma in effetti c’è”. E poi, quel
rigore diventa un rassicurante esercizio della mente, un modo per sconfiggere i
turbamenti, quasi un “ohm”, utile a perdersi nella ripetizione, attraverso
l’obbedienza fedele alla sequenza.
In qualche foto di studio si vedono le tele 100×100 stese a terra, appena montate
su telaio e preparate con una mano di grigio fumo, in attesa. L’artista cerca intanto
con la macchina fotografica il taglio compositivo migliore, attraverso l’ingrandimento
del tappeto nel quadrato: “Dalla foto trasferisco i contorni su lucido per proiettarlo
poi sulla tela preparata. Riporto il disegno che talvolta modifico in qualche
particolare, col lapis. Col pennarello nero indelebile ripasso i contorni, che creano la
struttura. I piccoli oggetti della memoria vengono disegnati a mano libera, dal vero
o da qualche altra foto. Finalmente dipingo”.
Sarebbero seguite le sperimentazioni dei “pavimenti”, suggerite dal ricordo delle
composizioni a tarsia che apparecchiavano a grisaille o con pietre colorate le
pavimentazioni delle case ottocentesche; ma anche dalle suggestive facciate a
tarsie marmoree di età romanica, fotografate dall’artista alla Badia fiesolana,
davanti al Battistero fiorentino o a San Miniato; e ancora “immagini rubate da
vetrine, negozietti, ingressi, scorci urbani” che divengono sorta di atlante di idee a
cui attingere con libertà.
Nelle “facciate” il pensiero corre invece alle esotiche piastrelle azulejos di tanti
edifici portoghesi, che incorniciano con variopinta bellezza portali, finestre e
modanature delle vie di Lisbona o di Porto. Scenografie, queste ultime, che
prevedono un percorso differente di esecuzione rispetto ai tappeti, ma non distante,
laddove l’artista parte da qualche suo scatto fotografico dal quale trarre il bozzetto,
lo riporta su lucido, per poi proiettarlo sulla tela, ricavandone a lapis i contorni, per
poi finalmente giungere alla pittura.
Queste “facciate”, come già i “tappeti” e i “pavimenti” mostrano in comune il
principio di fedeltà al quadrato, quasi un assioma. La predilezione del formato
quadrato implica non poche difficoltà compositive, è vero, è un formato esigente, e
forse proprio per questo nel tempo è divenuto il formato elettivo dell’artista:
pretende equilibrio compositivo, sfugge alla banalità che narra attraverso la
gerarchia di una dimensione prevalente sull’altra; comunica sensazioni di stabilità,
di ordine, e insieme di aspirazione alla pur impossibile perfezione. In matematica è
un numero intero che può essere espresso come il quadrato di un altro numero
intero; in geometria è un quadrato che può essere diviso in un innumerevoli
quadrati perfetti; insomma è la forma che contiene il senso dell’uno e del
molteplice. Vitruvio vi inscrive la figura umana, Brunelleschi e Alberti lo utilizzano
come modulo per architetture e decorazioni, Mondrian lo predilige, il gioco del
Tangram lo utilizza per suscitare un’inverosimile varietà di forme; fino ai quadrati
suprematisti, optical, hard edge. Bortolotti ne è catturato: i suoi “paesaggi” aspirano
alla purezza del quadrato. Emerge la strenua attrazione del pittore per la bellezza
scandita degli apparati geometrici, delle trame ortogonali, mistilinee, labirintiche, a
scacchiera, degli orditi a regolo, delle prospettive con le loro suggestioni di infinito,
delle composizioni modulari: dispositivi visivi che comportano per un verso la
rassicurazione di ogni organizzazione razionale, per l’altro permettono la crescita
illimitata dell’immaginazione. Insomma, dai tappeti ai pavimenti alle facciate
entrano in gioco nella pittura dell’artista dei veri e propri laboratori di Gestalt,
attraverso sperimentazioni spaziali a cui attingere, non senza i piaceri della
stravaganza concettuale e di qualche eccentrica o ‘capricciosa’ meraviglia.
La continuità con le ricerche precedenti, dei patio aperti sul mare o sulle colline,
ispirati dalla memoria di un tempo mitico, quello dell’infanzia, non ci appare
immediatamente intuibile, se non fosse per quel titolo volutamente enigmatico con
cui Bortolotti ha inteso presentare questa mostra, titolo che ci lascia ancora una
volta galleggiare amabilmente nell’incertezza e nelle delizie dell’immaginazione:
“Paesaggi nel quadrato”.